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Aspettiamoci una discarica: l’utilizzo di scorie per i rilevati stradali è legge

Proprio così.

Il decreto legge n. 1/2015 (c.d. Decreto Ilva) è stato convertito in legge con la recente legge di conversione 4 marzo 2015 n. 20.

Con la conversione è stata introdotta una modifica importante all’art. 4  aggiungendo un nuovo comma 2-ter che recita così:

2-ter. Al fine di favorire il preminente interesse al recupero di rifiuti e materiali, nel rispetto dei principi definiti dalla citata direttiva 2008/98/CE, i residui della produzione dell’impianto ILVA di Taranto costituiti dalle scorie provenienti dalla fusione in forni elettrici, a combustibile o in convertitori a ossigeno di leghe di metalli ferrosi e dai successivi trattamenti di affinazione e deferrizzazione delle stesse classificate con codice europeo dei rifiuti 100201, 100202 o 100903, possono essere recuperati per la formazione di rilevati, di alvei di impianti di deposito di rifiuti sul suolo, di sottofondi stradali e di massicciate ferroviarie (R5) o per riempimenti e recuperi ambientali (R10), se conformi al test di cessione di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, ovvero in applicazione della disciplina del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, se piu’ favorevole. In questo caso, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale provvede ad accertare l’assenza di rischi di contaminazione per la falda e per la salute, ai sensi dell’articolo 177, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nel termine di dodici mesi dall’avvenuto recupero.

Questo significa che le scorie dell’acciaieria Ilva di Taranto (e probabilmente molte altre) potranno essere usate in tutto il Paese sotto le strade, come materiale di riempimento.

Già questo fa accapponare ladiscarica-rifiuti-speciali pelle, ben sapendo cosa ci aspetta, ma c’è di più: chi controllerà i livelli di inquinamento delle falde e difenderà la popolazione dai rischi per la salute?

L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) che, tuttavia, potrà accertare l’assenza di rischi di contaminazione entro un anno dalla fine dei lavori!!!

Passando dall’ambito nazionale a quello locale il quadro è sconcertante se si considera che quasi tutto il tratto Nord-Sud della Tangenziale di Lucca è previsto in rilevato ad un’altezza media di 3 metri dal piano di campagna. A questo, purtroppo, si accompagna l’elevata permeabilità delle zone attraversate dalla futura Tangenziale e la falda acquifera poco profonda da cui molte famiglie si approvigionano giornalmente per uso domestico.

Facendo una semplice somma algebrica è facile desumere che il disastro ambientale è (più che mai) dietro l’angolo, posto che l’ente di vigilanza potrà intervenire solo in seguito alla fine dei lavori, ossia una volta che la tangenziale è già in funzione e, magari, ha già inquinato la falda.

Alla luce di questo, chi ha ancora il coraggio di spacciare l’opera come “migliorativa per la salute dei cittadini”?